Conformità o conformismo? Il pericolo del volersi uniformare

L’esperimento di Solomon Asch, il pensiero di Zygmunt Bauman, l’accreditamento e altre forme di “qualità”

Lo strano mondo dell’accreditamento (così come altri mondi ad esso simili, come quello della sicurezza alimentare) è pervaso da luoghi comuni e da credenze infondate. Ne citiamo alcuni, ma sappiamo bene che la lista è interminabile:

  • i cartigli, lo storico delle revisioni, gli elenchi dei documenti
  • il significato delle prove di ripetibilità
  • il “mantenimento della qualifica” con le “prove in doppio”, magari per ogni singola analisi
  • l’obbligo di accreditamento ISO 17034 per i produttori di ceppi microbici
  • il controllo della temperatura ambientale nei locali dei laboratori
  • le verifiche intermedie sui termometri
  • il 3×2, ovvero il “calcolo” del rischio
  • l’incertezza d’uso delle bilance
  • la “rotazione” dei disinfettanti
  • “quante analisi devo fare?”
  • “il legno è vietato”
  • “non si possono ricongelare gli alimenti scongelati”
  • “scrivi tutto quel che fai e fai tutto quello che scrivi”
  • i presunti obblighi sulla formazione

Gli zelanti alfieri della “qualità” (per loro ovviamente in maiuscolo) non perdono occasione per riproporre queste idiozie, sempre astenendosi dal riflettere un minimo su di esse.

Viene da chiedersi perché (dopo aver esaurito le imprecazioni). Perché?

La risposta non la troveremo certo in quei mondi ristretti.

Quindi, finite le imprecazioni, prendiamola con filosofia. Non nel senso di accettare passivamente e supinamente di sentirci ripetere per l’ennesima volta quelle sciocchezze. Prendiamola proprio con “la” Filosofia, e chiediamo aiuto ai filosofi (e anche agli psicologi).

La risposta definitiva, sul piano filosofico, sta tutta racchiusa in un aforisma di Zygmunt Bauman, filosofo polacco:

“l’uniformità nutre il conformismo, e l’altra faccia del conformismo è l’intolleranza”

Chiaro che a forza di utilizzare norme sulla “conformità” si finisce per orientarsi in un certo modo, e il conformismo è dietro l’angolo. Da lì a diventare intolleranti verso chi non si allinea il passo è assai breve. E si può arrivare in certi casi alla vera e propria oppressione.

Questo potrebbe forse bastare a spiegare atteggiamenti e comportamenti di certi addetti ai lavori, ma sarebbe una sintesi eccessiva.

Passiamo quindi agli psicologi, in particolare a Solomon Asch (un altro polacco, ma psicologo) e al suo celebre esperimento.

Secondo voi, quale delle tre linee a destra è la più simile a quella a sinistra?

Facilissimo, direte. Ma ne siete così sicuri? Pensateci bene. Pensateci meglio, date ancora un’occhiata alla figura…

Sapete che il 75% delle persone, dopo un opportuno quanto minimo condizionamento, è pronta a fornire la risposta sbagliata al quesito?

Eh, chiaro, col condizionamento… Quale condizionamento? Non certo un lavaggio del cervello in un centro di psicologia sperimentale gestito da organizzazioni criminali da film di 007, con utilizzo di droghe misteriose. Basta molto meno.

Nell’esperimento di Asch (realizzato nel 1951 e pubblicato nel 1956) il condizionamento era molto semplice. Bastava far sentire al soggetto sperimentale le risposte di altre persone a cui veniva rivolta la stessa domanda. Persone facenti parte dell’organizzazione dell’esperimento che, d’accordo tra loro e con lo sperimentatore, fornivano una risposta sbagliata, prima che la domanda venisse posta al soggetto sperimentale.

Vennero sottoposti all’esperimento cinquanta soggetti (“veri”). Solo una dozzina di essi, il 25%, non si adeguò al “pensiero comune” e fornì comunque la risposta corretta. La maggioranza si adeguò (e continua ad adeguarsi) al pensiero dominante e alle risposte preconfezionate, sbagliate.

Ovviamente era stato predisposto anche un gruppo di controllo, senza condizionamento, nel quale le risposte errate si presentarono in modo trascurabile.

Nelle interviste successive all’esperimento, dopo che era stato loro svelato il “trucco”, i soggetti riferirono di aver avuto l’impressione di sbagliare ma di essersi comunque “adeguati”, per paura di brutte figure.

Quando tutti o quasi tutti affermano una cosa, anche se sbagliata, molti (troppi), a quanto pare, si allineano facilmente alla maggioranza, abbandonando il pensiero critico. Smettendo di pensare. Ripetendo a pappagallo il loro limitato bagaglio di “sentito dire”. Un fenomeno, questo, molto più preoccupante dell’opportunismo cinico e cosciente (e un po’ vile) che porta ad “attaccare l’asino dove vuole il padrone”.

Nel mondo delle norme, della normalizzazione, dell’unificazione questa (deprecabile) tendenza umana non può che trovare terreno fertile. Ed ecco spiegato il perché del fiorire e diffondersi dei luoghi comuni della “qualità”.

Che fare? Quali gli antidoti possibili? Il pensiero critico. Il mettere in discussione ogni affermazione apodittica. Il diffidare dagli argomenti ab auctoritate (“l’ha detto Tizio”) o ad populum (“lo dicono, o lo fanno, tutti”). La lettura attenta e lo studio dei documenti di riferimento.

Il fare le cose, e continuare a farle, “a modo nostro”.

Studio Arclab augura a tutte e a tutti (anche ai conformi e ai conformisti) un 2024 non conforme e anticonformista.