23 ottobre 2022
È da ieri che imperversa sul web il dibattito sulla recente sortita neogovernativa consistente nella rinomina del Ministero dell’Agricoltura (già risorto dalle proprie ceneri alcuni decenni fa dopo che un referendum l’aveva cancellato).
Fra altre varie amenità (“imprese e made in Italy”, “natalità”, “merito”, “sicurezza energetica”) il terzo governo di estrema destra rispuntato nei paesi dell’Unione europea (terzo in ordine cronologico e probabilmente non solo in quest’ordine), nella propria frenesia di marcatura del territorio ha escogitato questa nuova denominazione che include la “sovranità alimentare”.
Lasciando stare eventuali considerazioni sui rappresentanti nominati (ci interessiamo di sicurezza alimentare e non di fisiognomica e frenologia) ci concentreremo qui soltanto sulla nuova originale denominazione del dicastero.
Originale non tanto, ci dicono: anche i cugini d’Oltralpe hanno ribattezzato il loro omologo ministero “de la Souveraineté Alimentaire“, e non tanto di recente. Non è questo però un buon argomento per impedirci di fare alcune considerazioni critiche, del resto non ci pare di solito di prendere per buona una cosa soltanto perché ha valicato le Alpi. Altrimenti avremmo già rinunciato al bidet e circoleremmo con michette e pagnotte sotto l’ascella. Andiamo dunque con la critica, cercando di restare seri e imparziali, nonostante le circostanze e il contesto. Di memi divertenti sul web se ne trovano a iosa.
La “Sovranità Alimentare” (Soberania Alimentaria) è un concetto del tutto nobile sviluppato e presentato per la prima volta da “Via Campesina” al summit FAO sull’alimentazione nel 1996 a Roma. “Via Campesina” è un movimento internazionale di coordinamento di quasi duecento organizzazioni di contadini, piccole e medie aziende di trasformazione, lavoratori agricoli, migranti, senza terra, donne impegnate in agricoltura, comunità indigene. Il concetto è stato ripreso nei vari social forum mondiali da movimenti antagonisti, no-global, antiliberisti, libertari. Movimenti che propugnano ideali comunitari contrari ad ogni tipo di barriera e confine. Sembrerebbe più una cosa in stile Don Gallo, Manu Chao o Greta Thunberg. Come possa essere finita nelle mani di un soggetto dal discutibile passato, con l’unico merito di essere un cognato, è un vero mistero.
Un bel concetto che ha però ricevuto diverse critiche:
- Dai pensatori liberali i quali, riprendendo Smith e Ricardo, sostengono che impedendo la e la suddivisione specializzata delle coltivazioni nei diversi paesi si riduce la produzione agricola e di conseguenza il PIL dei paesi stessi;
- Dai movimenti altermondialisti che non vedono positivamente l’eccessiva attenzione alle dimensioni nazionali e internazionali tralasciando la dimensione locale e le interazioni di quest’ultima con gli altri livelli;
- Dai movimenti mondialisti (contrapposti a loro volta a quelli altermondialisti) che considerano dannoso l’effetto di rinforzo dei nazionalismi, fino all’autarchia, causato dall’approccio orientato alla Sovranità alimentare.
In sostanza un argomento piuttosto complesso e articolato, non ancora completamente definito, che si presta a facili equivoci. E sul quale non abbiamo competenza per disquisire oltre. Lo fa egregiamente qui il prof. Sergio Saia, per chi vuole approfondire, trattando anche, con forza di numeri, delle effettive possibilità o impossibilità di arrivare in Italia alla “Sovranità alimentare”.
Lasciamo agli altri anche la valutazione dei possibili slittamenti semantici e magari pure ideologici che portano da “sovranità” a “sovranismo”, anche se, considerato chi partorisce certe proposte, abbiamo consistenti sospetti che la questione sia essenzialmente di questa natura.
Ciò che ci preoccupa in questa sede, visto che vediamo già scodinzolare dietro ai nuovi capi, capetti, gerarchi chi fino all’altro ieri decantava le lodi del pregiato Frustarello di Val Telapesca o dello Squinzio Puntellato DOC, pur di vendere e apparire, sono i risvolti della faccenda che potrebbero impattare sulle questioni che ci interessano maggiormente.
La narrazione mainstream sugli alimenti e alimentazione oscilla infatti in modo preoccupante da decenni tra allarmismi ingiustificati (“pollo-killer”, “OGM e cibo Frankenstein”, “oddio-i-nostri-bambini”, “palm-free”, “pranzo incubo e fiumi di diarrea a Gubbio”), incensazione ingiustificata del “buon cibo italiano di una volta” contrapposto a improbabili “pomodori cinesi”, falsi clamorosi (“grani antichi”, agricoltura biodinamica e altre stregonerie), certificazione di improbabili schemi fatta da assoluti incompetenti piazzati ai vari livelli (controllori, controllori dei controllori, organismi, ecc.), applicabile anche alle fandonie (sì, la “biodinamica” si certifica anche), presenza e presenzialismo a inaugurazioni, fiere, sagre, presentazioni, “purché se magna”. Questa narrazione è in mano a giornalisti lobbisti, speaker radiofonici cialtroni, affaristi infarinettati per ogni stagione, difensori donchisciotteschi del buon cibo amici di vecchia data del loro omonimo Carlo di recente incoronato (nonostante l’espressione da pollo), certificatori a buon mercato delle varie sigle che tutti conosciamo, Torquemada con mostrine, apologeti della QUALITÀ (tutto maiuscolo dalle loro parti) buoni per ogni convegno e buffet e altri poco raccomandabili soggetti. Narrazione buona per i polli.
Immaginare tutto questo caravanserraglio in mano o accodato festante ai nostalgici privi di cultura alimentare oltre che politica che confondono sovranità e sovranismo ci preoccupa assai.
Noi, che polli non siamo, staremo a vedere, scriveremo le nostre critiche, cercheremo di mostrare contraddizioni e assurdità della narrazione. Il che non significa “lasciamoli governare”. Per il momento altro non sappiamo o non possiamo fare.
Raccomandiamo però a tutti di prestare molta attenzione: da sovrano a pollo il passo è breve.
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