(a cura del dott. Leonardo de Ruvo, dottore in tecnologie alimentari, collaboratore dello Studio Arclab)
L’ANTICHITÀ DELLA CELIACHIA
Attualmente risulta abbastanza diffusa la teoria dei grani “moderni” come responsabili della comparsa della celiachia.
Premettendo che grani moderni non vuole dire assolutamente nulla, questa teoria, seppur affascinante, non ha motivo di esistere.
Perché la celiachia è una malattia tutt’altro che moderna.
Esistono numerose testimonianze storiche dell’esistenza di questa malattia anche in antichità.
Ne citiamo giusto un paio, così da dare un’idea.
LA GIOVANE DONNA DI COSA
Un esempio su tutti, citato anche nel libro “Contro Natura”, di D. Bressanini e B. Mautino (1), è senza dubbio quello fornito dal ritrovamento dei resti di una giovane donna presso il sito archeologico di Cosa, ubicato sul promontorio di Ansedonia, in provincia di Grosseto.
In base a quanto rilevato, trattasi di una giovane donna vissuta nel l secolo d.C., proveniente da una famiglia piuttosto agiata, come ben dimostrato dai gioielli presenti nella sua tomba.
Gli studiosi nella loro pubblicazione (2) descrivono la donna come di bassa statura, con osteoporosi, “cripta orbitale tipica dell’anemia” (1) ed ipoplasia dello smalto dei denti caratteristica di un soggetto affetto da celiachia.
A ciò si aggiungono anche:
1) evidenti segni di malnutrizione, in netta contrapposizione con il suo status sociale che invece avrebbe dovuto garantire il soddisfacimento dei bisogni alimentari
2) l’essere residente in un’area geografica adatta alla coltivazione e particolarmente orientata alla produzione cerealicola.
Tutti questi aspetti hanno destato una certa curiosità nel gruppo di studiosi, che hanno quindi deciso di sottoporre ad accertamenti analitici alcuni frammenti di ossa e un molare della giovane donna di Cosa.
Gli accertamenti sono stati condotti presso il Centro di Antropologia molecolare per gli studi del DNA antico dell’Università di Tor Vergata (1).
Le analisi eseguite sul DNA estratto dai frammenti di ossa e dal molare hanno testimoniato la presenza di geni tipici che predispongono alla celiachia*
La presenza di questi geni, unitamente alla contestuale presenza di segni clinici sufficientemente tipici come ad esempio ipoplasia dello smalto dentario, anemia e malnutrizione, hanno fornito una prova abbastanza solida riguardo il fatto che la ragazza fosse celiaca (1).
*risulta accertata una certa correlazione tra presenza di determinati geni e celiachia. Detto ciò la presenza di questi geni non implica automaticamente l’insorgenza della malattia, in quanto esistono ad oggi alcuni meccanismi nella manifestazione della celiachia che non sono stati completamente chiariti.
Non approfondiamo troppo l’argomento su genetica e celiachia in quanto eccessivamente complesso e al di fuori delle nostre competenze (precisazione necessaria per una questione di onestà intellettuale).
Gli accertamenti effettuati hanno permesso di comprendere ulteriormente come la celiachia fosse una patologia assolutamente presente anche in antichità.
E che troppo spesso si confonde la messa a punto di appositi test diagnostici per una data malattia con la comparsa della malattia stessa oppure un aumento della sua incidenza.
ARETEO DI CAPPADOCIA
La seconda testimonianza della presenza della celiachia in antichità è fornita da Areteo di Cappadocia.
Areteo è considerato uno dei più grandi studiosi di medicina dell’antichità greco-romana dopo Ippocrate (3). Presumibilmente era originario o almeno cittadino della Cappadocia, provincia romana dell’Asia Minore (Turchia), e molto probabilmente visse intorno alla metà del II secolo (d.C.)
Il suo trattato, suddiviso in otto volumi (4 sulle malattie e 4 sulle cure) affronta sintomi e cura di alcune tipologie di malattie acute e croniche.
Questo trattato tecnico-scientifico è rimasto sconosciuto fino alla metà del XVI secolo quando, nel 1552, fu pubblicata la prima edizione.
In questo lavoro Areteo ha offerto descrizioni accurate di una serie di malattie riconducibili ad asma, epilessia, polmonite, tetano, etc.
Oltre a questo ad Areteo di Cappadocia si deve un primo chiaro resoconto sulla celiachia, che nel suo libro viene definita come koiliakos, che stando a quanto riportato da Bressanini (1) è da intendersi come “colui che soffre negli intestini”.
La spiegazione che Areteo dà a questa forma di disordine si basava sull’allora corrente teoria delle funzioni digestive.
Si basava sul concetto di “calore naturale”: come il calore del sole era necessario per far maturare la frutta, si pensava che il “calore naturale” dello stomaco fosse necessario per una sorta di “preparazione” del cibo ingerito come requisito per il successivo assorbimento.
Per Areteo la celiachia era provocata quindi da un raffreddamento del “calore naturale” dello stomaco necessario e funzionale al successivo assorbimento degli alimenti.
Per questo motivo agli occhi di Areteo i celiaci apparivano smunti, pallidi e privi delle energie necessarie per svolgere le loro attività abituali.
Il diminuito assorbimento comportava anche un variazione nel colore, odore e consistenza delle feci del celiaco.
Sempre nel suo trattato Areteo spiega il trattamento di tale malattia.
Questo era incentrato sulla prevenzione del raffreddamento e volto a ripristinare il “calore naturale” del corpo.
Il trattamento implicava abbondante riposo, presumibilmente l’assunzione di cibi liquidi prima e in misura maggiore dei cibi solidi ed infine l’immancabile digiuno (4).
Quasi (ma molto quasi) a suggerire una sorta di dieta di eliminazione.
Tutto questo accadeva nel II secolo d.C.
BIBLIOGRAFIA:
(1) Contro Natura, di Dario Bressanini e Beatrice Mautino, Casa editrice Rizzoli, 2015.
(2) “When was celiac disease born?: the Italian case from the archeologic site of Cosa”, Journal of clinical Gastroenterology, G. Gasbarrini, L. Miele, G. Corazza, A. Gasbarrini, 2010.
(3) “Aretaeus of Cappadocia and his treatises on diseases”, Halil Tekiner. Turk Neurosurg. 2015.
(4) López Piñero JM. El helenismo romano. En: La Medicina en la Antgüedad. Madrid:
Cuadernos Historia. 1985; 16: 18-24.
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