Meglio Tardi(ti) che mai
Dall’ultimo “congresso” Accredia-laboratori-ispettori segnali confortanti, notizie buone, notizie cattive. Restiamo fiduciosi?
Anche per quest’anno vanno in archivio i consueti incontri (Verona e Roma) che l’ente di accreditamento propone ai laboratori e agli ispettori.
Ci concederete questa volta uno spunto abbastanza personale: come talvolta amava ripetere Vittorio, un altro Tarditi con una certa dote di vis polemica, ai suoi colleghi di lavoro un po’ troppo attaccati a consuetudini e convinzioni discutibili, “l’importante è arrivarci”.
E questa volta dobbiamo dire che da via Saliceto, finalmente, “ci sono arrivati”, su diverse questioni.
Ma andiamo per ordine: prima la notizia brutta (ne abbiamo diverse buone, togliamoci subito quella cattiva). La notizia è che sono tempi duri per tutti, anche per gli organismi di accreditamento, soprattutto per quelli che pensavano di “sfondare” sul fronte degli accreditamenti ISO 15189 (laboratori medici, i quali non sembrano così impazienti di infilarsi nello strano meccanismo). Al momento i laboratori medici accreditati sono solo una cinquantina, dei quali la metà (e quasi tutti in Trentino Alto Adige) sono sedi secondarie. Ma dove sarebbe la brutta notizia? È che, come ha riferito il presidente, diminuiscono le entrate, per cui a) si diminuiscono i compensi precedentemente aumentati agli ispettori, b) si aumentano le tariffe per i laboratori. Prossimamente. Ah, se avessero richiesto l’accreditamento tutti… Che poi se gli ispettori vengono pagati poco va a finire che quelli bravi si mettono tutti a fare i consulenti e quelli che restano… beh.
In tutto questo però il simpatico ente ha trovato la maniera, i fondi, il tempo, per rifare il proprio marchio e rinumerare i laboratori. Ciò a vantaggio di quegli organismi (una manciata) che sono sia certificatori che laboratori che centri di taratura e potranno così fregiarsi di un unico numero. E gli altri? Sotto a rifare LIMS e carta intestata! (Ah, un’altra brutta notizia? Effettivamente…)
Sempre sugli ispettori, abbiamo appreso che è intenzione dell’ente fare formazione “sui punti sui quali emergono più rilievi”. Non molto sensata come scelta (in generale sì, bene, di formazione sappiamo che ne hanno bisogno, visti certi rilievi creativi e/o monotoni). Però farla sui punti di norma maggiormente oggetto di non conformità dimostra che non è noto il paradosso dell’aereo mitragliato. Ma non divaghiamo. Sotto con le notizie buone e con i “meglio Tardi(ti) che mai”. Saltiamo ovviamente la solita pressoché inutile parte autocelebrativa del “congresso”, quella del “quanto siamo bravi, quanto siamo belli, quanto siamo famosi”. Chi si loda di solito si imbroda.
ISO 17034 e microbiologia: è ufficiale, non si applica. Noi lo dicemmo qui, un anno fa, e qui, ma anche qui. Evidentemente quegli ispettori/trici di microbiologia che fino all’altro ieri formulavano rilievi su ceppi privi della preziosa certificazione (e per questo più a buon mercato) si sbagliavano alla grande. Forse ora la smetteranno. Ma che dire di chi non cassava i rilievi campati in aria? Va bene… andiamo avanti.
Non è materialmente possibile ad oggi produrre ceppi a titolo noto con un grado di precisione ragionevolmente affidabile e, per quanto riguarda la classificazione, in generale la questione della riferibilità per le proprietà qualitative è in evoluzione: è di fresca pubblicazione la ISO 33406:2024 che tratta questo argomento ed esclude un approccio all’incertezza secondo ISO 98-3. Ci torneremo su con un articolo e magari con un corso.
ISO 17034 e chimica? Altra buona notizia: non si applica per i materiali destinati al controllo qualità, alla preparazione dei campioni per le verifiche, alle prove di messa a punto dei metodi e simili. Si applica solo laddove con il materiale di riferimento si assicura la riferibilità delle misure (risultati analitici). E anche questo l’avevamo detto e scritto da mo’.
Prove di ripetibilità: meglio tante prove in doppio su campioni di routine (anche in chimica) che ripetizioni in decuplo su campioni “finti”, che potrebbero anche “non venire bene”. In fin dei conti “il laboratorio non si accredita per preparare materiali di riferimento” (quelli usati per le simulazioni in verifica). Parole sante, venute dal palco. Niente più rilievi se, ad esempio, viene richiesto di “drogare” un eluato con soluzione di cromo esavalente e, come spesso succede, il cromo VI sparisce per riduzione istantanea e il risultato è zero (con contorno di scene isteriche da parte dell’ispettrice/tore e di disperazione da parte del laboratorio).
Circuiti interlaboratorio: in arrivo prossimamente un nuovo RT, il 39, a trattare di questo argomento e, speriamo, a portare un po’ di chiarezza. Come dite? Non è una buona notizia? Su, per noi lo è (ci faremo certamente un corso!), ma lo è anche per voi, visto che il nuovo documento sostituirà l’attuale RT 24 che, diciamocelo, non è poi un granché. A gennaio su questi schermi. Ah, pare che il documento tratterà di prove interlaboratorio anche per le tarature. Staremo a vedere.
In arrivo anche un nuovo RT 26 per i laboratori multisito e un nuovo RT 23 per la definizione delle attività accreditate (campo di accreditamento). Non bastano le novità: ci saranno anche un nuovo RG 09 sull’utilizzo del marchio, nuove liste di riscontro, “ceccliste” per gli amici. Può bastare, no?
Certificati di analisi (loro li chiamano “rapporti di prova” in base a non si sa bene quale “legge” – abbiamo chiesto lumi, non pervenuti, per cui tra poco ci torniamo su): allelujah! Il punto 7.8 non è “il-punto-sui-rapporti-di-prova” bensì quello sulla “presentazione dei risultati”. Finalmente. Ci sembrava chiaro già dal titolo, risalente al 1999, prima edizione della ISO 17025, ma sentirlo dire dal palco dà sempre una certa soddisfazione. Abbiamo dovuto rettificare, dalla platea, l’affermazione secondo la quale “il laboratorio che effettua tarature interne debba emettere rapporti di taratura”. Ciò è ovviamente falso, è sufficiente leggere quanto scritto al punto 7.8.1.3 della ISO 17025 (il laboratorio, essendo esso stesso il cliente per quanto riguarda le tarature interne, può “accordarsi con sé stesso” e rinunciare all’emissione stessa del “rapporto”). Risposta dal palco, la solita, quella da rigettare sempre e comunque: “eh, ma tanto al laboratorio cosa costa emettere…”. ecc. Ciò che 1) non è richiesto dalle norme 2) è privo di utilità per il laboratorio va sempre rifiutato: da subito è un peso inutile, prima o poi diventa un problema, specialmente se, in questo caso, si inciampa in qualche controllore ottuso (del genere di quelli in grado solo di fare verifiche contabili) che pretende piena conformità ad ogni elemento del paragrafo 7.8 e formula rilievi inutili se manca magari “la dichiarazione che identifichi in qual modo le misurazioni sono metrologicamente riferibili” (§ 7.8.4.1, lettera c). Ne esistono.
Dicevamo, a proposito della denominazione dei documenti di cui al punto 7.8: la norma li descrive nella nota 1 come “talvolta denominati” certificati di prova e rapporti di taratura”, nell’elenco del punto 7.8.2.1 la denominazione “rapporto di prova” è fornita come mero esempio. È quindi chiaro che non esiste alcun obbligo di intitolarli in un modo particolare. È obbligatorio inserire “un titolo” (a meno che il laboratorio non abbia valide ragioni per non farlo”) e il titolo potrebbe essere uno qualsiasi, magari “raccolta dei risultati”, oppure “i nostri dati analitici”, ma a noi piace da sempre “certificato di analisi”. Erano state citate (imprecisamente) misteriose leggi in materia, delle quali abbiamo chiesto specifico riferimento, che riserverebbero la denominazione “certificato” alle sole tarature. Evidentemente tali leggi non esistono (qui la legge sulle tarature, mentre i pareri del Consiglio Nazionale dei Chimici evidentemente non sono fonte del diritto), tant’è che negli atti pubblicati in forma definitiva (pag. 12) è riportato che “è politica Accredia armonizzare la designazione del documento, anche al fine di differenziarlo, circoscrivendone il campo di utilizzo, dalla attività di certificazione effettuata dagli enti di certificazione e da determinate figure professionali, regolamentate dalla legislazione italiana”.
Come se fosse antani, ovvio.
Della politica poco ci importa, noi continueremo a chiamarli “certificati di analisi”.
Quindi, sempre sui certificati di analisi: confermato che la classificazione dei rifiuti e la definizione delle modalità di smaltimento non sono accreditabili e non sono né pareri e interpretazioni, né dichiarazioni di conformità. Riteniamo corretta questa posizione, si tratta di conclusioni basate oltre che su dati analitici anche su altri elementi non derivanti da attività di laboratorio e, per definizione, l’accreditamento riguarda solo le attività di laboratorio.
Per quanto riguarda la data di esecuzione delle analisi è stato confermato che deve essere dichiarata quella di effettiva esecuzione, non la data di verifica dei risultati (anche se, effettivamente, è il momento reale di completamento del procedimento analitico), anche in caso di indicazione “cumulativa” per tutti i metodi. La data di ricevimento, invece, deve essere quella nella quale il laboratorio prende in consegna il campione, anche se ciò avviene fuori dalla propria sede, ad esempio in caso di ritiro presso il cliente. Non è indispensabile indicare con frase o dicitura specifica la fine del documento. Possono bastare l’indicazione del numero di pagine o la firma digitale del documento.
E per quest’anno è tutto!
Meglio Tardi(ti) che mai anche per la pubblicazione di quest’articolo, che arriva tardi, solo un mese dopo il “congresso”. C’è sempre da correre, troppo lavoro, grazie a Voi! Ma ci scuserete di sicuro!
Commenti recenti