Tutti conosciamo Cesare Beccaria che scrisse nella seconda metà del diciottesimo secolo la sua opera principale, “Dei Delitti E Delle Pene”, contribuendo in maniera fondamentale alla storia della giurisprudenza. Tutti conosciamo il nipote di Cesare Beccaria, Alessandro Manzoni, che ci narrò le vicende di certi personaggi adusi a tormentare il prossimo: Don Rodrigo e i suoi bravacci.

Nessuno conosce Novello Beccaria (il quale contribuisce in maniera molto meno fondamentale alle storielle e all’umorismo). O forse sì. E forse qualcuno conosce anche certi donrodrighi odierni.

I nostri lettori, laboratoristi vessati, ci segnalano periodicamente interessanti perle di saggezza provenienti dal misterioso mondo dell’accreditamento. Perciò non finiremo mai di ringraziarli, consentendoci essi di allietare le nostre giornate con questi spunti di umorismo non-sense.

Un paio delle ultime segnalazioni ricevute riguarda temi a prima vista innovativi, che denotano la profondità analitica e acume dell’autore di certi rilievi. Ma come recita l’adagio, “si dice il peccato ma non il peccatore”. Ecco quindi i peccati, nel primo caso si tratta di un rilievo (ricorrente) che grossomodo sancisce:

“nei curricula inviati non è presente la dichiarazione di veridicità secondo DPR 445/2000”

Nel secondo caso (anch’esso ricorrente), il rilievo recita:

“nel manuale qualità non sono presenti riferimenti al Reg. UE 2016/679 (GDPR) e alle registrazioni ivi previste e non sono descritte le modalità da adottare nel caso di perdita di dati dei clienti (data breach)”

Non dovendosi nominare il peccatore chiameremo Novello Beccaria l’autore dei rilievi.

È molto bello sapere che i carnefici osservano attenti ogni aspetto della vita dei laboratori, volgendo le magnifiche sorti, e progressive, verso l’oscuro mondo della giurisprudenza. Gliel’avevamo visto fare, con dubbi risultati, riguardo alla contrattualistica (vedendoli passare ineffabili e con la massima disinvoltura dal pretendere che ogni contratto sia stipulato in forma scritta, in spregio all’art. 1350 del Codice Civile, al discettare di fantomatici obblighi relativi ai tempi di consegna dei risultati analitici). Ora li vediamo alle prese con la notizia, giunta da lontano, secondo la quale coloro che agiscono per enti di accreditamento e organismi di certificazione possono, in certi frangenti e in determinati ruoli, essere considerati come “incaricati di pubblico servizio”. Ovviamente senza che smettere di trattare lo spinoso tema della “praivasi”, come pronunciano loro con un certo trasporto, orgogliosi della loro sapienza e conoscenza del mondo.

Folgorati sulla via di Damasco dalla sensazionale notizia li stiamo quindi vedendo, dopo una evidentemente raffazzonata quanto superficiale lettura dei testi normativi, cimentarsi con la (da essi) presunta ricaduta delle nozioni legali recentemente da costoro (malamente) assimilate.

Tralasciando alcuni aspetti della questione che sarebbero piaciuti a Dunning e Kruger passiamo quindi a una confutazione su base giuridica della sensatezza di certe richieste.

Come fare rilievi sui CV cercando di far bella figura con chi assegna gli incarichi e pessima figura col resto del mondo

Novello Beccaria cita il DPR 445 del 2000. Molto bene. Magari sa cose che a noi non è dato conoscere. Leggiamo assieme il decreto, magari impariamo qualcosa che potrebbe cambiare il senso della nostra vita e portarci vagonate di “valore aggiunto” (quanto piace a Novello sentirsi importante, diffondendo il Verbo-Della-Qualità, con tutte le amatissime maiuscole, nelle lande desolate dei laboratori).

Il DPR citato tratta di “disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa” ed è comunemente noto come “testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa ovvero “decreto sulla semplificazione amministrativa”.

Semplificazione.

Ci piace. Ci è sempre piaciuto. Magari davvero impariamo qualcosa di interessante…

Proseguiamo quindi entusiasti e bramosi di nuove conoscenze la lettura, partendo ovviamente dall’art. 2, quello che definisce l’oggetto della norma (l’art. 1 contiene le definizioni ma non vi troviamo quella di “dichiarazione di veridicità”, citata nel rilievo: sarà un indizio?). L’art. 2 recita:

“Le norme del presente testo unico disciplinano la formazione, il rilascio, la tenuta e la conservazione, la gestione, la trasmissione di atti e documenti da parte di organi della pubblica amministrazione: disciplinano altresì la produzione di atti e documenti agli organi della pubblica amministrazione nonché ai gestori di pubblici servizi, nei rapporti tra loro e in quelli con l’utenza e ai privati che vi consentono. Le norme concernenti i documenti informatici e la firma digitale, contenute nel capo II, si applicano anche nei rapporti tra privati come previsto dall’articolo 15, comma 2 della legge 15 marzo 1997, n. 59.”

Ohibò, cominciamo male, forse Novello ha preso un granchio:

“…trasmissione di atti e documenti da parte di organi della pubblica amministrazione

 “…produzione di atti e documenti agli organi della pubblica amministrazione nonché ai gestori di pubblici servizi

Evidentemente gli enti di accreditamento NON SONO “organi della pubblica amministrazione” (se così fosse dovrebbero ad esempio assumere per concorso il proprio personale, non ricercarlo con annunci di lavoro o tramite agenzie, o per chiamata diretta).

Saranno per caso dei “gestori di pubblici servizi”? Il prezioso servizio pubblico dell’accreditamento? Cosa e chi mai saranno questi “gestori di pubblici servizi”? L’art. 43 della Costituzione ci aiuta a identificarli:

“A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.”

Sicuramente non sono in questione “fonti di energia” (semmai il dispendio di energie, per i laboratori, per correre dietro alle ultime trovate di Novello). È forse il “servizio” di accreditamento un “servizio pubblico essenziale”? (Indubbiamente esiste una situazione di monopolio…) Chiediamolo direttamente all’oste, se il vino è buono…

Si legge qui e nel documento pdf accessibile dalla pagina, che il Supremo Ente:

“è una associazione privata con partecipazione pubblica

i rapporti con i soggetti accreditati sono di natura contrattuale e i provvedimenti di Accredia NON SONO autorizzazioni amministrative

 l’accreditamento non è qualificabile come provvedimento amministrativo

il personale dell’ente svolge una funzione di interesse pubblico”

Il Supremo Ente non si considera “servizio pubblico essenziale”. Qual modestia.

Che effettivamente non sia tale? Chiediamolo anche agli esperti.

Magari alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ne sanno qualcosa…

La direttiva del 27 gennaio 1994 (GU 43 del 22 febbraio 1994) ci spiega per filo e per segno quali sono i servizi da considerare “pubblici”.

“Ai fini della presente direttiva sono considerati servizi pubblici, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla salute, all’assistenza e previdenza sociale, alla istruzione e alla libertà di comunicazione, alla libertà e alla sicurezza della persona, alla liberta’ di circolazione, ai sensi dell’art. 1 della legge 12 giugno 1990, n. 146, e quelli di erogazione di energia elettrica, acqua e gas.”

Ohibò! Sembra assente l’accreditamento (che all’epoca già esisteva e prosperava).

La direttiva richiede ai soggetti erogatori servizi pubblici la cosiddetta “carta dei servizi”:

Adozione di standard.

  1. Entro tre mesi, i soggetti erogatori individuano i fattori da cui dipende la qualità del servizio e, sulla base di essi, adottano e pubblicano standard di qualità e quantità di cui assicurano il rispetto.
  2. I soggetti erogatori definiscono standard generali e standard specifici di qualità e quantità dei servizi. I primi rappresentano obiettivi di qualità che si riferiscono al complesso delle prestazioni rese. I secondi si riferiscono a ciascuna delle singole prestazioni rese all’utente, che può direttamente verificarne il rispetto.
  3. Gli standard sono sottoposti a verifica con gli utenti in adunanze pubbliche.

Riferimenti alle “carte dei servizi” si ritrovano anche nell’art. 11 del D.Lgs. 286 del 1999.

Non vi è traccia di “carta dei servizi” sul sito del nostro amatissimo ente di accreditamento. Che sia un altro indizio sul fatto che da quelle parti non ci si senta “gestori di pubblico servizio”?

Sarebbe peraltro bellissimo poter verificare il rispetto degli standard in adunanze pubbliche..!

L’ANUSCA è l’associazione degli ufficiali di stato civile e di anagrafe. Qualcosa sapranno. Sul loro sito si legge che

“I gestori di pubblici servizi sono enti o aziende quali l’Enel, le Ferrovie, la Rai, le Poste (per quanto riguarda il “servizio postale”) così come, in ambito locale, l’azienda che gestisce l’erogazione di acqua e gas o quella che provvede al trasporto urbano e alla gestione degli edifici comunali, eccetera.”

A parte alcuni aspetti in comune (ritardi, tendenza a vessare l’utente, lottizzazione, burocrazia, atteggiamento alla “marchese del Grillo”) non si vedono proprio analogie tra gli enti citati e quelli di accreditamento.

Un’altra caratteristica fondamentale di un servizio pubblico, secondo la giurisprudenza europea e gli orientamenti delle autorità di settore, deve essere quella di basarsi sul “principio di universalità”: il servizio va garantito a prescindere dal reddito, dalla localizzazione e dalla fascia sociale (non discriminazione); sarebbe interessante approfondire anche questo aspetto, ma a questo punto ci pare

ABBASTANZA CHIARO CHE IL DPR 445 DEL 2000 NON È APPLICABILE AI RAPPORTI CON L’ENTE DI ACCREDITAMENTO

Lo riportano anche le fonti apocrife. Qui si trova l’elenco dei “gestori di pubblici servizi” della Regione Lazio. Tanti soggetti. Ma Accredia non c’è.

Il capo II del decreto tratta della gestione informatizzata dei documenti nella Pubblica Amministrazione e nei soggetti ad essa assimilati, nonché della gestione della firma digitale e dei documenti di identità elettronici. Non tratta quindi di CV.

Il contenuto del capo III, se ancora non bastasse, ci illumina ulteriormente. Probabilmente è la parte del decreto (l’unica) che Novello Beccaria ha letto, o della quale ha sentito parlare magari a qualche convegno. È la parte che stabilisce le regole per la cosiddetta “autocertificazione”. (Siamo comunque in un campo distante anni luce da ciò che riguarda un CV da inoltrare all’ente di accreditamento.)

L’art. 38 tratta delle “dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi”. Esse sono “sottoscritte dall’interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore”. Abbiamo già ampiamente discusso del fatto che l’ente di accreditamento NON è un “gestore o esercente di pubblico servizio”.

Aggiungiamo che il CV certamente NON è una “dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà”.

Anche l’art. 46 potrebbe essere stato alquanto frainteso dall’amico Novello, appassionato di giurisprudenza. L’articolo elenca gli “stati, qualità personali e fatti” che possono essere oggetto di “autocertificazione”. Nell’elenco sono compresi (lettere da i- a n- dell’elenco) “iscrizione in albi, in elenchi…, appartenenza a ordini professionali, titolo di studio…, qualifica professionale posseduta, titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica”. Si tratta però, in tutta evidenza (come appare dalla lettura delle lettere da a- a h- e da o- a ee-, fine elenco), di condizioni che sono quelle tipicamente richieste per partecipazione a concorsi, bandi, ecc., normalmente autocertificate da chi partecipa a detti bandi e concorsi. Da queste parti del decreto nemmeno vi è traccia alcuna della fantomatica “dichiarazione di veridicità” evocata da Novello Beccaria, anche se l’art. 46 descrive dettagliatamente le modalità di sottoscrizione della “dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà”. Solo all’art. 48, punto 2, si trova un riferimento all’obbligo, per le amministrazioni, a inserire, nei moduli da esse predisposti per le autocertificazioni, moduli “che gli interessati hanno facoltà di utilizzare” (“facoltà”, e non “obbligo”, per gli interessati), “il richiamo alle sanzioni penali previste dall’articolo 76, per le ipotesi di falsità in atti e dichiarazioni mendaci”. Ovviamente l’art. 76 del decreto tratta delle norme penali, circostanziando i casi in cui le dichiarazioni sostitutive sono considerate come “rese a pubblico ufficiale”, rimandando al Codice penale e alle leggi speciali per quanto riguarda le sanzioni applicabili.

La “dichiarazione di veridicità” non esiste nel decreto.

Alcune amministrazioni inseriscono effettivamente nei propri moduli il richiamo alle sanzioni di cui all’art. 76 del decreto sotto il titolo “dichiarazione di veridicità”. Come abbiamo visto, però, siamo ben lontani dalla situazione del CV inviato all’ente di accreditamento.

Per completare il quadro notiamo una cosa, di per sé bastevole a chiarire che chi scrive il CV non è tenuto a includere la famosa dichiarazione: il dipendente o collaboratore del laboratorio invia il proprio CV al laboratorio (“rende dichiarazioni” al laboratorio). Successivamente il laboratorio invia il CV del proprio collaboratore all’ente di accreditamento (“trasmette” un documento redatto da altro soggetto). Nessun rapporto diretto intercorre tra il collaboratore del laboratorio e l’ente di accreditamento!

Riassumendo:

  • La norma sulle autocertificazioni (dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà) non è applicabile alla fattispecie del CV, per la natura dei soggetti coinvolti e per la natura e funzione stessa del CV
  • Anche volendolo considerare come dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà il CV non viene inviato da chi lo redige all’ente di accreditamento

È quindi più che chiaro che Novello Beccaria dovrebbe ristudiare daccapo il decreto e limitarsi in futuro a formulare rilievi sul contenuto delle norme strettamente applicabili (ISO 17025 e dintorni). In generale farebbe meglio a limitarsi ad applicare quanto previsto dal documento DA 02 Accredia che richiede al laboratorio di inviare all’ente di accreditamento il curriculum “datato, firmato e riportante l’autorizzazione al trattamento dei dati”.

Nessuna traccia, anche qui, della “dichiarazione di veridicità”.

Come confondere le persone fisiche e quelle giuridiche, discettando malamente della “praivasi”

Novello Beccaria ha a cuore anche la tutela dei dati personali. Tant’è che rileva anche la mancanza di riferimenti al GDPR nei manuali qualità dei laboratori. Quale slancio sociale!

Andiamo però a leggere un po’ meglio il regolamento europeo “GDPR” e la normativa nazionale.

Fin dal titolo è chiaro che il GDPR (Regolamento europeo 2016/679) è “relativo alla protezione delle persone FISICHE” (ovvero degli esemplari di Homo sapiens sapiens circolanti o circolati sul pianeta).

Novello nel suo rilievo parla di “clienti”. Non tutti i “clienti” dei laboratori (o di un laboratorio in particolare” sono persone fisiche. In molti casi i clienti del laboratorio sono solo persone GIURIDICHE (S.p.A., S.r.l., s.a.s, s.n.c., ecc.).

Cominciamo bene! Novello si sarà fermato al titolo della norma europea?

Come ogni buon regolamento europeo, anche il numero 679 del 2016, è ricco di “considerando” iniziali, quella parte del testo normativo che non ha valenza prescrittiva ma che spiega a chiunque (compreso Novello, se solo si degnasse di leggere…) come interpretare il contenuto del regolamento. Vi si legge che “il trattamento dei dati personali dovrebbe essere al servizio dell’uomo” (magari anche della donna e di chi non si riconosce in un genere, ma non chiediamo al Legislatore europeo di essere politicamente corretto). La finalità del regolamento è quella di garantire alle persone FISICHE il controllo sui dati che le riguardano.

Anche nei “considerando” si ripete, qualche decina di volte (ma Novello è disattento…), che ci si riferisce alle persone FISICHE.

Il considerando n. 83 è quello che esplicitamente fa riferimento ai rischi di perdita dei dati o di intrusione (“violazione dei dati”, ma a Little New Butcher piace sentirsi molto internescional buttando là qualche termine inglese a caso, come data breach).

“Per mantenere la sicurezza e prevenire trattamenti in violazione al presente regolamento, il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento dovrebbe valutare i rischi inerenti al trattamento e attuare misure per limitare tali rischi, quali la cifratura. Tali misure dovrebbero assicurare un adeguato livello di sicurezza, inclusa la riservatezza, tenuto conto dello stato dell’arte e dei costi di attuazione rispetto ai rischi che presentano i trattamenti e alla natura dei dati personali da proteggere. Nella valutazione del rischio per la sicurezza dei dati è opportuno tenere in considerazione i rischi presentati dal trattamento dei dati personali, come la distruzione accidentale o illegale, la perdita, la modifica, la rivelazione o l’accesso non autorizzati a dati personali trasmessi, conservati o comunque elaborati, che potrebbero cagionare in particolare un danno fisico, materiale o immateriale.”

Ovviamente il laboratorio deve gestire correttamente i dati riguardanti PERSONE FISICHE di cui entri in possesso, ad esempio:

  • Tizio è il responsabile del tale depuratore (ha firmato il verbale di campionamento)
  • Caio era presente al campionamento dei fumi presso la tale azienda, in rappresentanza dell’ARPA
  • Sempronio è lo chef (famoso) del ristorante presso il quale sono stati effettuati i tamponi e ha dichiarato di aver usato il tale disinfettante (che evidentemente Sempronio preferisce ad altri)
  • e così via

I DATI RELATIVI AI RISULTATI, pur essendo anch’essi soggetti ad obblighi di riservatezza molto rigorosi (dalla tutela della proprietà intellettuale, se ad esempio riguardano prodotti dei quali sia in corso la sperimentazione, al segreto professionale, ecc.), NON SONO DATI PERSONALI RELATIVI A PERSONE FISICHE. I “dati personali” sono definiti dall’art. 4, punto 1, del Regolamento:

“qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale”

La “violazione dei dati personali” è definita all’art. 4, punto 12) come

“la violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati”

Gli artt. 33 e 34 prescrivono al “titolare dei dati personali” di notificare all’autorità di controllo e all’interessato (al quale i dati personali si riferiscono) ogni violazione dei dati.

Però, però…

Gli ispettori detengono anch’essi dati personali.

Hanno infatti certamente a disposizione un “archivio” (art. 4, punto 6), del Regolamento), contenente nominativi e funzioni lavorative dei tecnici e responsabili dei laboratori (costituenti “dati personali”, ai sensi dell’art. 4, punto 1, del Regolamento), del quale effettuano “trattamento” ai sensi dell’art. 4, punto 2), del Regolamento (raccolta, organizzazione, consultazione, uso, ecc.), essendo probabilmente “titolari del trattamento” ai sensi dell’art. 4, punto 7) del Regolamento, in quanto “persone fisiche” che “singolarmente o insieme ad altri” (nel caso, insieme ad Accredia) “determinano le finalità e i mezzi di trattamento di dati personali” (i “mezzi di trattamento” sono definiti da ciascun ispettore e possono essere il proprio PC, il cloud, archivi esterni, raccoglitori di documenti cartacei, ecc.) oltre che “responsabili del trattamento” (art. 4, punto 8), trattando essi i dati personali per conto del “titolare del trattamento” Accredia.

Novello stesso, che tanto tiene alla questione, avrà quindi almeno previsto (art. 33, punto 2 e seguenti) di informare l’ente di accreditamento (il “titolare del trattamento”), ovvero di informare direttamente il Garante (come detto, Novello somiglia molto al “titolare del trattamento”), qualora avvenga una violazione dei dati riguardanti il personale dei laboratori contenuti nel proprio PC? Forse che l’ente di accreditamento avrà definito regole per sé stesso e per Novello e colleghi per affrontare queste situazioni?

Pare però che Novello e colleghi non usino richiedere il “consenso dell’interessato” (art. 4, punto 11) ed essi non sembrano in grado di “dimostrare che l’interessato ha prestato il proprio consenso al trattamento” (come prescrive l’art. 7, punto 1, del Regolamento), quando maneggiano un organigramma nominativo…

Ai laboratoristi potrebbe venire l’idea di segnalare al Garante questo comportamento anomalo e diffuso…

Il D. Lgs. 196 del 2003, come modificato del D.Lgs. 101 del 2018, prevede sanzioni amministrative per le violazioni alle prescrizioni del regolamento. Per chiunque, magari anche per Novello…

Sai mai che…

Gli ispettori si muovono in un contesto in cui i dati sono particolarmente “sensibili”, riguardando posizioni organizzative, abilità e qualifiche, informazioni certamente di interesse per altri laboratori o agenzie di ricerca di personale, ad esempio. Chi garantisce ai tecnici, responsabili e collaboratori dei laboratori la correttezza dell’uso dei dati che li riguardano contenuti negli organigrammi e nei CV, nelle liste di riscontro e in altri documenti in possesso degli ispettori? Chi garantisce che, a parte il favorire la comparsa sul proprio volto di un bel colorito verde (fenomeno ormai noto e da più parti osservato), certi ispettori non utilizzino il mio CV, circolante nei laboratori che seguo come responsabile qualità e fornito obbligatoriamente dai laboratori ad Accredia, per fini illeciti come riti voodoo o altre analoghe pratiche?

Abbiamo anche visto come quello relativo ai dati sensibili DELLE PERSONE FISICHE non sia che uno dei tanti obblighi posti a tutela dei diritti di terzi (in questo caso, per i laboratori, del corretto uso delle informazioni riguardanti i dipendenti, rappresentanti, titolari, ecc., delle aziende clienti del laboratorio, E NON delle informazioni sulle aziende clienti stesse). È uno dei tanti obblighi del laboratorio, in un particolare ambito: chissà perché Novello ci tiene così tanto. Potremmo considerare altri ambiti, ad esempio:

  • Diritti dei lavoratori, retribuzione corrispondente alle mansioni effettive e rispetto dell’orario di lavoro (magari avrebbe dovuto pensarci Novello Beccaria, detto anche “Gallo Cedrone” in quanto famoso per i suoi modi invadenti e grossolani, quando in piena pandemia telefonava a giorni alterni a casa dei tecnici, all’epoca in cassa integrazione, di un certo laboratorio, per sollecitare l’invio di certi documenti, invio peraltro vietato dalle stesse procedure dell’ente di accreditamento…)
  • Sicurezza sul lavoro
  • Pari opportunità (talvolta abbiamo udito Novello apostrofare col termine “signorina” o, viceversa, con “dottore”, “professore”, “eccellenza”, le persone che egli incontra nei laboratori, a seconda del sesso e a prescindere dal ruolo effettivamente ricoperto)
  • Obblighi di rispetto dei termini di pagamento ai fornitori (mai si è avuta notizie di rilievi di Novello sulla mancanza di riferimenti al D.lgs 192/2012 nel manuale qualità)
  • Agibilità dei locali e norme in materia di edilizia (si narra che esistano laboratori operanti in locali del tutto abusivi)
  • Obblighi fiscali (riguardo alla fatturazione dei lavori eseguiti)
  • Trasparenza della Pubblica Amministrazione e accesso ai dati (per i laboratori pubblici)
  • Obblighi del settore dell’Energia (ARERA e dintorni, ma forse Novello non è a conoscenza dell’esistenza dell’Autorità di settore)
  • Delitti contro la fede pubblica (artt. 483, 484, 489, 490 Codice penale)
  • Delitti contro la pubblica amministrazione (artt. 355, 356 Codice penale)
  • Delitti contro il patrimonio (artt. 640 Codice penale)

Eppure non si sono mai letti rilievi come “6.2 il laboratorio non ha previsto di garantire un adeguato trattamento economico ai propri dipendenti e di far loro rispettare l’orario di lavoro previsto” oppure “6.6 il laboratorio non ha previsto di pagare i propri fornitori nei tempi stabiliti”, o ancora “6.3 il laboratorio non prevede di rispettare la normativa in materia edilizia”, e nemmeno, in particolare, “7.1 il laboratorio non prevede nei contratti di fornire ai propri clienti risultati frutto dell’effettiva applicazione dei metodi analitici e non della propria fantasia”.

Conclusioni

Viene da domandarsi il perché di cotanto interesse di Novello per la questione “privacy” o per le fantomatiche “dichiarazioni di veridicità”.

Viene da domandarsi (a pensar male spesso ci si azzecca) se l’interesse sia ad esempio legato al contenuto dell’art. 43 del Regolamento sulla tutela dei dati personali, articolo che prevede la possibilità di certificazione dei sistemi di gestione dei dati personali. Che Novello non agisca in modo così imparziale ma voglia magari approfittare della propria posizione per incentivare l’adozione dei sistemi di certificazione?

Per finire: sappiamo benissimo che ci è voluto molto più impegno per scrivere questo testo rispetto a quello impiegato da Novello per scrivere i rilievi-fantasia, così come rispetto a quello che sarebbe necessario ai laboratori per soddisfare le pretese dell’apprendista giurista. Ma ci sacrifichiamo volentieri, per un paio di motivi che ci sembrano sensati.

  • La valutazione della conformità a norme non deve diventare un palcoscenico dal quale Novello mostra istrionicamente le sue (scalcinate) conoscenze per ottenere più fama e magari più incarichi.
  • Non sono certamente questi gli aspetti della vita dei laboratori sui quali ricercare il famigerato “miglioramento continuo”. Mai è capitato qualcosa di spiacevole e mai capiterà ai laboratori per non aver inserito i codicilli oggetto dei rilievi nei propri documenti.
  • Se Novello presta (malamente) attenzione a cavilli e codicilli invece di badare alle questioni concrete (attendibilità e veridicità dei R-I-S-U-L-T-A-T-I delle A-N-A-L-I-S-I) non rende un buon servizio alla società (nonostante sia profumatamente retribuito per il proprio ruolo).

Ci chiediamo (e chiediamo) PERCHÉ CHI DOVREBBE CONTROLLARE i rilievi formulati e filtrarli lascia spazio al protagonismo di Novello e lascia passare rilievi come questi?

I laboratoristi sono un po’ stufi. Hanno da pensare alle analisi.

(Se volete potete utilizzare questo testo per scrivere eventuali riserve. Però togliete l’immaginetta voodoo…)