Mosche cocchiere, OGM (e legionelle)
Ad agosto quasi tutti riposano. Alcuni no. Le mosche, anzi, sono più attive e fastidiose. Più fastidiose di tutte sono quelle cocchiere, quelle che, come nella celebre favola di La Fontaine, credono di essere artefici delle sorti del mondo, o di un particolare, ristretto, mondo.
Oltre alle mosche, in questo torrido agosto, c’è (purtroppo) chi lavora per noi, tra via Sannio e via Saliceto. Mentre i laboratoristi si godono, finalmente, il meritato riposo, gli infaticabili addetti ai lavori del mondo della qualità una ne fanno, cento ne pensano, e un paio le pubblicano.
E così, il 3 agosto, vengono emesse ben due “circolari informative”, una destinata ai soli laboratori di analisi, una urbi et orbi a tutto il mondo dell’accreditamento.
La prima riguarda i metodi per Legionella e il loro accreditamento (non ce ne occuperemo in questa sede, se non per dire che, per strani artifici, ai laboratori tocca togliere e mettere metodi in lista per adeguarsi a quest’ultima pensata, non basta aggiornare il metodo già inserito), l’altra in generale gli accreditamenti in qualche modo connessi all’assenza di organismi geneticamente modificati. È questa seconda quella che ci preoccupa.
In modo un tantino contorto, infatti, la circolare, formalmente emessa dal Dipartimento certificazione di Accredia, si rivolge anche ai laboratori di analisi, e non solo per mera informazione, bensì con nuovi obblighi.
La cosa buona è che la scadenza per gli adeguamenti ipotizzati è stata collocata al 31 dicembre 2024, quindi c’è tempo per accorgersi degli errori e cambiare idea. Noi intanto avvisiamo, poi si vedrà.
Errori? Quali errori (direte e diranno in via Sannio e via Saliceto)?
Andiamo per ordine e leggiamo la circolare, a partire dall’oggetto (abbiamo solo eliminato le maiuscole sbagliate, anche nelle citazioni successive):
“Dipartimento certificazione e ispezione – Circolare informativa DC N° 38/2023 – Disposizioni in materia di transizione degli accreditamenti dei laboratori di prova e degli organismi di certificazione (OdC) che certificano prodotti in accordo a quanto disposto dal regolamento tecnico RT-11 – Requisiti minimi per la certificazione di prodotti con caratteristica/requisito non OGM”
Quindi, se abbiamo bene inteso, si tratta di “transizione degli accreditamenti dei laboratori di prova”, con riferimento al regolamento Accredia RT 11.
Come? Non sapevate del regolamento RT 11 (uno fra i tanti prolissi RT sfornati dal nostro prolifico ente)?
Beh, niente di strano, è un regolamento piuttosto vecchiotto (2017, mai revisionato), indirizzato agli organismi di certificazione accreditati, NON indirizzato ai laboratori, NON incluso nella lista ufficiale dei documenti applicabili ai laboratori (ovvero il documento LS 04, almeno nella revisione attualmente valida, la 16). Del resto, già dal titolo, si comprende facilmente che il regolamento RT 11 contiene (o dovrebbe contenere) requisiti per la certificazione di prodotti non OGM.
Dovrebbe contenere, già. E invece, al punto 10.1, il regolamento tratta anche di requisiti che i soggetti certificati e gli organismi che li certificano devono (o dovrebbero tentare di) far rispettare ai laboratori che eseguono analisi per loro conto. Laboratori che devono:
- Essere accreditati;
- Utilizzare metodi con LOD e LOQ specificati nel documento (rispettivamente 0,045% e 0,1%);
- Indicare LOD e LOQ nei certificati di analisi emessi.
Requisiti applicabili ai laboratori, quindi? Sì, ma solo se il soggetto certificato loro cliente li richiede. Se i laboratori lavorano per soggetti diversi (non certificati OGM-free) i requisiti non sono applicabili.
Primo equivoco
E invece la circolare si rivolge (è indirizzata) indiscriminatamente “a tutti i laboratori di prova accreditati e accreditandi per attività in ambito OGM”, così generando confusione e convinzioni errate, per quei laboratori che si limitano a effettuare analisi per clienti non certificati. E magari per ispettori e altri addetti ai lavori (gli ispettori però non sono, stranamente, tra i destinatari). Certo non un punto a favore, per i depositari della “Qualità” (maiuscola loro…).
Ma non finisce qui
Proseguendo nella lettura, nel bel mezzo di una tirata, il cui commento vi risparmiamo, su “valore aggiunto” e altre amenità qualitatesi, troviamo il riferimento a una certa “prassi di riferimento UNI”. E che sarà mai? Apprendiamo che un parterre de rois molto assortito, nel quale non poteva mancare Coldiretti (un’associazione che, quando non è impegnata a pianger miseria presso i politicanti di turno per le difficoltà in cui versano i propri associati si impegna a spingere nuovi requisiti – spesso incompatibili con le norme europee – che mettono in difficoltà i propri associati e ogni altro soggetto coinvolto nella filiera alimentare), ha pubblicato il prezioso documento, siglato UNI/PdR 142, intitolato “Requisiti minimi per la certificazione di prodotti con caratteristica/requisito non OGM”, proprio come il regolamento tecnico RT 11 di Accredia (che infatti la “prassi di riferimento” ricalca in gran parte e che sostituirà integralmente a partire dal 1° gennaio 2025). La “prassi” suddetta “definisce le regole e i requisiti minimi che gli operatori, gli organismi di certificazione e i laboratori devono rispettare per realizzare prodotti riferibili alla categoria NON OGM – non organismi geneticamente modificati”. Nella circolare segue un sommario riassuntivo del contenuto della “prassi di riferimento”, contenuto che comprende fra l’altro un “esempio di calcolo dell’incertezza di misura e interpretazione dei risultati analitici”, oltre a questioni di stretta pertinenza degli organismi di certificazione.
Complicazioni in vista? Lo scopriremo forse leggendo la “prassi di riferimento”. Ammesso che sia un documento valido (e scopriremo che non lo è, tempo al tempo).
Sempre nella circolare troviamo un po’ di questioni ingarbugliate che riguardano però solo gli organismi di certificazione e i loro clienti, prima di incappare in una frase che riguarda i laboratori di analisi i quali, secondo la circolare “dovranno adeguarsi a quanto prescritto dalla UNI/PdR 142 entro il 31/12/2024”. Un allegato da compilare, contenuto nella circolare, riguarda solo gli organismi di certificazione e non i laboratori. Possiamo quindi ignorarlo tranquillamente e passare all’esame della “prassi di riferimento”, scaricabile gratuitamente, previa registrazione, dal sito web UNI.
La “prassi di riferimento” UNI/PdR 142:2023
Il documento, come chiaramente riportato, si rivolge agli “operatori, organismi di certificazione e laboratori”, NON è una norma nazionale ma si definisce “documento pubblicato da UNI, come previsto dal Regolamento UE n.1025/2012, che raccoglie prescrizioni relative a prassi condivise all’interno del seguente soggetto firmatario di un accordo di collaborazione con UNI”. Il “seguente soggetto” è Accredia.
Però. Ahiahiahi, signor UNI, Lei mi casca proprio sui riferimenti normativi.
Che per un organismo nazionale di normazione non è certo una bella cosa. Ed ecco le mosche cocchiere, impegnate nella “normazione in nero” o nel “vorrei ma non posso”, ma andiamo per ordine.
Secondo equivoco
Il regolamento UE n. 1025/2021 (il quale tratta in generale della “normazione europea”) NON PREVEDE AFFATTO che UNI pubblichi cose tipo “prassi di riferimento”, difatti, nel Regolamento:
- Sono definite (art. 2) le varie categorie di norme (internazionali, europee, armonizzate, nazionali), ma una “prassi di riferimento” non è certo una norma.
- Nelle definizioni (art. 2) si prevede (comma 2) l’esistenza di “prodotti della normazione europea”, ovvero di “qualsiasi altra specifica tecnica, diversa dalle norme europee, adottata da un’organizzazione europea di normazione per applicazione ripetuta o continua, alla quale non è obbligatorio conformarsi”. Per intanto segniamoci che “non è obbligatorio conformarsi” a questo tipo di specifiche.
- I “prodotti della normazione europea” sono, come detto al comma 2), adottati “da un’organizzazione europea di normazione”, ovvero dagli organismi definiti al successivo comma 8), con rimando all’elenco contenuto nell’allegato I del Regolamento: CEN, Cenelec, ETSI. Non quindi dall’UNI.
- Potrebbe trattarsi forse di una “specifica tecnica” di cui al comma 4), ovvero di “un documento che prescrive i requisiti tecnici che un determinato prodotto, processo, servizio o sistema deve soddisfare”? Forse, tirando un po’ (un po’ tanto) per i capelli le definizioni, in particolare quella di cui alla lettera a) del comma 4): documento che prescrive “le caratteristiche richieste di un prodotto, compresi i livelli di qualità, le prestazioni, l’interoperabilità, la protezione dell’ambiente, la salute, la sicurezza o le dimensioni, comprese le prescrizioni applicabili al prodotto per quanto riguarda la denominazione di vendita, la terminologia, i simboli, le prove e i metodi di prova, l’imballaggio, la marcatura e l’etichettatura, nonché le procedure di valutazione della conformità”. Ma allora perché non chiamarla “specifica tecnica” ma “prassi di riferimento”, pur facendo esplicito richiamo al Regolamento europeo? Siete l’UNI, che diamine! Usate la terminologia corretta! Le “prassi di riferimento” nel Regolamento UE n.1025/2012 non esistono.
Un po’ debolucce, quindi, le premesse per imporre nuovi requisiti ai laboratori. Ma quali “nuovi” requisiti a cui adeguarsi entro fine 2024?
E le novità? Dove sono?
Tanto rumore per nulla. Confrontando il punto 12 della “prassi di riferimento” con l’omologo punto 10 dell’RT 11 vediamo che l’unica aggiunta al “copia-e-incolla” è praticamente la seguente: “il laboratorio sottoscrive un contratto con l’operatore e/o l’OdC per garantire che le prove vengano eseguite in accordo a quanto previsto dalla presente prassi”. Un requisito decisamente mal formulato, essendo il documento obbligatorio (forse) per i soli organismi di certificazione. Forse volevano dire “l’operatore e/o l’OdC sottoscrivono un contratto con il laboratorio per garantire che le prove vengano eseguite in accordo a quanto previsto dalla presente prassi”. A Cesare quel che è di Cesare.
Comunque, una prassi che i soggetti certificati e gli organismi di certificazione adottano già regolarmente.
Ah, ci sarebbe anche l’appendice sull’incertezza di misura. Un’appendice “informativa” che quindi, come tale, non può costituire alcun obbligo per i laboratori. Tanto più che quanto in essa riportato (l’esempio di calcolo) “può essere utilizzato dall’operatore in autocontrollo e dall’OdC”. Nulla per i laboratori.
Conclusioni. Che fare?
In definitiva, visto quanto sopra:
- Se non si eseguono analisi di OGM, ovviamente ignorare la circolare (a meno che non si sia, come noi, collezionisti di perle qualitatesi, in questo caso osservare divertiti e commentare in punta di tastiera);
- Se si eseguono analisi di OGM per soggetti che non sono certificati per assenza di OGM né sono organismi di certificazione, ignorare la circolare;
- Se si eseguono analisi per soggetti certificati per assenza di OGM o per organismi di certificazione, attendere la richiesta del cliente per contrattualizzare l’impegno a fornire i LOD e LOQ richiesti, richiesta che dovrebbe arrivare verso fine 2024 (magari mettere poi anche a sistema il documento di origine esterna “prassi di riferimento”, fornito dal cliente);
Niente altro? Niente altro. Dormiremo sonni tranquilli fino a fine 2024.
Se invece si ricopre un ruolo centrale in quella che pomposamente viene definita “infrastruttura per la qualità” c’è tutto il tempo per correggersi ed evitare, nel frattempo, effetti involontariamente comici.
Ah, invece, per Legionella, se avete il metodo accreditato correte entro il 30 settembre ad aggiornare la vostra lista metodi, sacrificando tempo prezioso che non vi verrà ricambiato.
9 agosto 2023
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