(a cura del dott. Leonardo de Ruvo, dottore in tecnologie alimentari, collaboratore dello Studio Arclab)

I MICRORGANISMI, l’INDUSTRIA ALIMENTARE E LA DISINFEZIONE (parte 1)
 
Note per la lettura: in questo post e gli altri correlati parleremo della disinfezione chimica, alcuni concetti sono stati semplificati per esigenze di lunghezza e accessibilità del post.
 
Ormai da tantissimi anni l’industria alimentare utilizza la disinfezione come misura di controllo delle contaminazioni, in particolare quelle connesse all’ambiente di lavoro (tra cui superfici a contatto e superfici non a contatto).
 
La disinfezione è definita dal Codex Alimentarius (1) come “la riduzione del numero dei microrganismi nell’ambiente ad un livello tale da non compromettere la sicurezza alimentare”
Già da questa definizione si possono intuire alcuni aspetti importanti, ovvero:
– la disinfezione non determina la distruzione di TUTTI i microrganismi, bensì una RIDUZIONE ad un livello accettabile tale da non costituire un rischio,
– la riduzione della popolazione è funzione della popolazione iniziale dei microrganismi presenti nell’ambiente, ovvero la tipologia di microrganismi presenti, la loro concentrazione, il tipo di disinfettante impiegato, etc.
Questi fattori ci permettono di capire che è abbastanza FANTASIOSA L’IDEA CHE ABBIAMO, COME CONSULENTI O TECNICI, DI VOLER FISSARE UN LIMITE COMUNE DI CONTAMINAZIONE POST-DISINFEZIONE PER TUTTE LE IMPRESE ALIMENTARI.
Come ribadito da Cerf et al. (2), è lecito aspettarsi che sulle superfici disinfettate rimanga una popolazione residuale di microrganismi, in ragione dei fattori sopra elencati, oltre che dalla modalità di impiego, concentrazione e tempo di azione del prodotto, etc.
I disinfettanti largamente impiegati negli ambienti delle industrie alimentari sono generalmente cloro e composti del cloro, sali di ammonio quaternario, composti dello iodio, acido peracetico, biguanidi, etc.
Possiamo riassumere, in via molto generale, che questi prodotti hanno un’attività sui microrganismi che può avere diversi siti target di attacco, e questo permette di comprendere come mai generalmente abbiano uno spettro di azione abbastanza ampio (3).
Da notare, e questo è molto importante, che a concentrazioni al di sotto della soglia di inibizione, questi composti mostrano un’attività molto minore che può ridursi anche ad UN SOLO SITO TARGET DI ATTACCO (4, 5).
Se il disinfettante riduce quindi la sua azione ad un solo sito target, è quindi molto più facile stimolare i meccanismi di adattamento dei microrganismi, con successivi fenomeni di tolleranza e se del caso resistenza.
FACCIAMO QUINDI CHIAREZZA SU TALE ASPETTO: non parliamo di resistenza ai disinfettanti a sproposito, specie citando pubblicazioni su questo tema, senza tener conto che in molti di questi studi i microrganismi sono ripetutamente esposti a concentrazioni di disinfettanti abbondantemente al di sotto della soglia di impiego, cosa che nelle imprese alimentari accade ben di rado, se non mai (6).
Detto ciò, possiamo riassumere le modalità di azione di questi prodotti chimici su tre siti target, così come descritto da Russell e Maillard (5):
1) interazioni con i componenti cellulari più esterni (ad esempio proteine, come nel caso dei Sali quaternari di ammonio)
2) interazione con la membrana plasmatica (considerata la modalità di azione più comune, che può consistere nella distruzione fisica della membrana e/o inibizione degli enzimi associati alla stessa)
3) interazione con i costituenti citoplasmatici (interazioni con acidi nucleici, ribosomi, etc.)
Queste diverse attività consentono a questi composti di distinguersi dagli antibiotici, che di norma hanno una specifica azione (7, 8].
In ogni caso i microrganismi hanno mostrato una certa risposta, in termini di tolleranza/resistenza, anche ai disinfettanti chimici; attualmente, tra le forme vegetative, i micobatteri sono considerati i più resistenti, seguiti dai Gram-negativi e infine dai Gram-positivi (CON LE DOVUTE ECCEZIONI, sia chiaro).
Sia le endospore batteriche che le cellule che si trovano in un biofilm meritano discorso a parte, dato che mostrano una maggiore resistenza dovuta al particolare status in cui si trovano.
Possiamo dire che comunque le cellule in biofilm sono più resistenti rispetto alla controparte che si trova allo stato planctonico, questo a causa della struttura multistrato del biofilm che diminuisce la penetrazione del disinfettante, oltre ai tassi ridotti di uptake di nutrienti e di crescita che caratterizzano le cellule che si trovano in questo peculiare consorzio (9).
 
Esattamente come funziona la risposta dei microrganismi ai disinfettanti?

Lo potete scoprire nella seconda parte.

Tornate a leggerci…

 
BIBLIOGRAFIA:
 
(1) CAC, 2003. Recommended international code of practice—general principles of hygiene, including Annex on hazard analysis and critical control point (HACCP) system and guidelines for its application — CAC/RCP 1-1969. Rev.4.
 
(2) Cerf, O., Carpentier, B., Sanders, P., 2010. Tests for determining in-use concentrations of antibiotics and disinfectants are based on entirely different concepts: “resistance” has different meanings. International Journal of Food Microbiology 136, 247–254.
 
(3) Poole, K., 2002. Mechanisms of bacterial biocide and antibiotic resistance. Journal of Applied Microbiology Symposium Supplement 92, 55S–64S.
 
(4) Hugo, W.B., 1967. The mode of action of antibacterial agents. Journal of Applied Bacteriology 30, 17–50.
 
(5) Russell, A.D., Maillard, J.-Y., 2000. Response. American Journal of Infection Control 28, 204–206.
 
(6) Davidson, P.M., Harrison, M.A., 2002. Resistance and adaptation to food antimi- crobials, sanitizers and other process controls. Food Technology 56, 69e78.
 
(7) Denyer, S.P., 1995. Mechanism of action of antibacterial biocides. International Biodeteri- oration 36, 227–244.
 
(8] Russell, A.D., Chopra, I., 1990. Understanding Antibacterial Action and Resistance, second ed. Ellis Horwood, Chichester, UK.
 
(9) Carpentier, B., Cerf, O., 1993. Biofilms and their consequences, with particular reference to hygiene in the food industry. Journal of Applied Bacteriology 75, 499–511