Coltivate l’intelligenza, imparerete a coltivare anche la carne
Per intanto diciamo addio alla birra, allo yogurt, al salame, ai formaggi, e non solo
Come ormai quasi tutti sanno, con gran clamore e giubilo da parte di certi strani soggetti urlanti davanti al Parlamento, coltivatori di ignoranza (per questi non si scatenano cariche di “contenimento” e bastoni, riservati a chi l’intelligenza la coltiva, come gli studenti che protestano), è stata approvata la legge 1° dicembre 2023, n. 172, “disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati”, ecc., fortemente voluta dal celebre cognato sveglio, quello dei treni che non arrivano in orario.
La legge sulla carne coltivata, che certe fervide menti chiamano “sintetica”, nel nome della propaganda più becera.
L’ennesima legge scritta coi piedi, in un fervore di servilismo, ignoranza normativa e linguistica.
Ma noi le leggi sull’alimentare siamo usi a leggerle, cercare di capirle e provare a spiegarle, anche se qualche volta fanno un po’ ribrezzo.
Cominciamo, quindi.
Nel nome della “tutela della salute umana e degli interessi dei cittadini”, nonché per il nobile intento di “preservare il patrimonio agroalimentare” italico (quanta pomposità), magari spezzando le reni all’Europa o fermandola sul bagnasciuga, già dall’articolo 1 si vede che si fa sul serio!
E infatti si comincia subito a chiamare le cose con il loro nome, ed ecco nel suddetto articolo le definizioni. Ma… sono quelle degli articoli 2 e 3 del regolamento (europeo) n. 178/2002. E c’è anche il rimando alle disposizioni dell’Unione (sempre europea) in materia “di denominazione degli alimenti e dei mangimi e di etichettatura degli stessi”. Geniale! Combattere il nemico usando i suoi stessi mezzi!
Peccato che (controllare per credere) né le disposizioni dell’Unione, né le definizioni del reg. 178, facciano il minimo cenno alla carne coltivata. Un dettaglio, che sarà mai, quando in ballo sono le sorti del “patrimonio agroalimentare” della Patria!
E sì, la legge non definisce ciò che vieta. Cita inutilmente cose a caso, così, per fare volume. Cominciamo bene.
E in mancanza di una definizione, come si fa a sapere cosa è vietato? Proviamoci comunque. Passiamo quindi all’articolo 2, dal titolo “Divieto di produzione e commercializzazione di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati”. Proprio così:
“a partire da colture cellulari O di tessuti derivanti da animali vertebrati”
Se l’italiano, nel senso di idioma, non è stato modificato di recente, la disgiunzione “O” si usa per separare due alternative, entrambe possibili.
L’articolo vieta agli operatori del settore alimentare e agli operatori del settore dei mangimi di “impiegare nella preparazione di alimenti, bevande e mangimi, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare o distribuire per il consumo alimentare” gli alimenti e mangimi suddetti.
Quindi parrebbero:
- vietati gli alimenti costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari
- vietati gli alimenti costituiti, isolati o prodotti a partire da colture di tessuti derivanti da animali vertebrati
Abbiamo capito bene?
Forse manca una virgola dopo “tessuti”. Altro dettaglio: La Patria mica si difende sui libri di grammatica. Ci vogliono i moschetti!
Forse volevano includere nel divieto le colture cellulari derivanti da animali vertebrati, ma non sono stati molto chiari in questo senso. Sarà stata la fretta di compiacere gli urlatori. In effetti nelle varie versioni del testo, dal disegno di legge alla legge pubblicata in Gazzetta Ufficiale, c’è stato un certo balletto di “di” e “da”. Segno di idee poco o punto chiare.
Certo che, se fosse vera la prima ipotesi, potremmo dover dire addio alla birra, allo yogurt, al salame, ai formaggi, tutti alimenti per la cui produzione, come è noto, vengono utilizzati ceppi starter di microrganismi.
“Colture cellulari”, appunto. Ma andiamo avanti.
I difensori dell’italica cultura mangereccia basano il divieto sul “principio di precauzione”, stabilito dall’articolo 7 del solito reg. 178. Rileggiamolo:
“Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio”
“a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili … possibilità di effetti dannosi per la salute … situazione d’incertezza sul piano scientifico”
Quali sarebbero, nel caso, le “informazioni disponibili sulla possibilità di effetti dannosi per la salute”?
Probabilmente quelle che, con abile operazione di cherrypicking, il celebre cognato ferroviere e l’omonimo del centravanti di Italia ’90 hanno riportato (più probabilmente fatto riportare da qualche stagista del loro codazzo, quasi certamente troppo pagato, a spese nostre) nel testo di accompagnamento del disegno di legge (pag. 8 del pdf). Eccole:
“D’altra parte, con questo alto livello di moltiplicazione cellulare, è probabile che si verifichino alcune disregolazioni, come accade nelle cellule tumorali”
Aiuto! Ci fanno venire il cancro! Gli spacciatori di paura in piena azione. Ovviamente si tratta solo di un ipotetico esempio di conseguenza SIMILE a quelle che portano alla comparsa di cellule tumorali, ma tanto è bastato al cognato e all’omonimo per gridare “al lupo”. Ottima propaganda. Goebbels ne sarebbe stato orgoglioso.
Abbiamo sotto gli occhi un caso di cherrypicking della peggior specie, come si può facilmente capire se si legge TUTTO il documento originale citato dai due compari e dai loro scodinzolanti stagisti: una pubblicazione di Chiriki, Sghaier e Hocquette, si riporta anche quanto segue:
“Unlike conventional meat, cultured muscle cells may be safer, without any adjacent digestive organs”
(A differenza della carne convenzionale, le cellule muscolari coltivate possono essere più sicure, senza organi digestivi adiacenti)
“Regarding environmental issues, the potential advantages of cultured meat for greenhouse gas emissions are a matter of controversy, although less land will be used compared to livestock, ruminants in particular”
(Per quanto riguarda le questioni ambientali, i potenziali vantaggi della carne coltivata per le emissioni di gas serra sono oggetto di controversia, anche se verrà utilizzata meno terra rispetto al bestiame, in particolare per i ruminanti)
Da più o meno 5.000 anni le zoonosi ci tormentano, grazie soprattutto all’allevamento: salmonellosi, teniasi, un lungo percorso che porta all’encefalopatia spongiforme e prosegue, rappresentano “benefit” della carne da macellazione. I patogeni intestinali arrivano facilmente nei nostri piatti, partendo dalle viscere degli animali d’allevamento. E questi figuri cianciano (e scrivono, e legiferano, e si vantano) di “assicurare la tutela della salute”.
Una priorità, per loro e per i loro sodali. Una questione urgentissima. Anche se, secondo EUFIC, ad oggi nessuna azienda o organizzazione delle circa 60 che stanno sperimentando sul tema ha richiesto all’Unione europea di approvare alimenti prodotti da colture di cellule animali, anche se il percorso di autorizzazione richiede anni. Anche se nel mondo solo Singapore ha per ora autorizzato il commercio di carne coltivata e solo gli USA hanno avviato una consultazione per decidere se autorizzare o meno.
Ma gli zelanti difensori delle italiche libagioni, dopo aver arrestato il pericolo della carne coltivata non si fermano certo qui.
Devono anche difenderci dal pericolo del vegburger, e altre simili minacce. Sempre questione di priorità.
E quindi ecco l’articolo 3 che vieta, nel nome della “tutela del patrimonio zootecnico nazionale” (quante povere vacche disoccupate all’orizzonte!) e, di nuovo, della “tutela della salute umana e degli interessi dei cittadini che consumano” (sic!), di usare per “prodotti trasformati contenenti esclusivamente proteine vegetali … denominazioni legali, usuali e descrittive, riferite alla carne, ad una produzione a base di carne o a prodotti ottenuti in prevalenza da carne”.
Un altro capolavoro lessicale. Quale alimento contiene “esclusivamente proteine vegetali”? Un po’ di fibra, qualche polisaccaride, si trovano in tutti gli alimenti. Anche negli hamburger di soia: ecco il divieto per l’alimento che non c’è. Seguono altri tre commi di autentica confusione, e uno che prospetta un futuro elenco di denominazioni vietate. Saranno vietate le “polpette vegane”? Lo scopriremo. Vegani, tremate, le streghe son tornate!
L’articolo 4 assegna le responsabilità per i controlli, in palese contrasto con quanto previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 27 del 2021, estendendo, oltre a NAS e ASL, la funzione di controllo a Guardia di Finanza, Agenzia delle Dogane, Guardia costiera. Ci sarà la fila a far multe ai coltivatori clandestini di cellule e ai pericolosi spacciatori di vegburger.
Un vero capolavoro anche il capitolo sanzioni, definito dal comma 2 dell’art. 4 e dall’art. 5. D’altronde il nemico che ci assale è spietato e va combattuto con ogni mezzo. Quindi niente sanzione ridotta in caso di pagamento nei 60 giorni, secondo Legge 689/81, se si tratta di illecito amministrativo e “salvo che il fatto costituisca reato”, sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 euro al 10% del fatturato totale annuo (di quale soggetto? non è dato a sapere), fino a 150.000 euro al massimo. In barba al principio di proporzionalità, stabilito dalle norme europee (art. 139 comma 1 del reg. 625/2017).
Certo, la sanzione in caso di mancata indicazione degli allergeni in etichetta è al massimo di 16.000 euro, quella per chi vende alimenti scaduti arriva fino a 40.000, non di più, ma volete mettere? Qui la posta in gioco è altissima. Sia mai che qualche grullo si compri una bistecca di soia credendola una fiorentina! E le sanzioni, in base all’art. 6, verranno adeguate secondo la variazione ISTAT. Certo, mica sono salari, stipendi o pensioni.
Ah, non basta: confisca, divieto di accesso a contributi pubblici, chiusura dello stabilimento, bagno nel catrame e spargimento di piume (non “sintetiche”, sia mai!) per chi attenta all’italica cibaria. Piume a parte il resto c’è per davvero.
Non dimentichiamo, però, che le sanzioni per il vegburger si possono applicare solo… al produttore italiano. Già, perché l’art. 25 del D.Lgs. 231/2017, quello sull’etichettatura, esclude l’applicabilità delle disposizioni nazionali a “prodotti alimentari legalmente fabbricati o commercializzati in un altro stato membro dell’Unione europea o in Turchia e ai prodotti legalmente fabbricati in uno stato membro”. Quindi niente multe a quegli smidollati del Nord Europa che ci invadono col kebab vegano.
La cosa peggiore: nessuno vieta di coltivare cellule o tessuti prodotti da molluschi, echinodermi, persino insetti. Sono vietati solo i vertebrati. Quindi avanti con gli spaghetti al riccio di mare coltivato!
Potremmo con questo articolo violare consapevolmente l’art. 2 della legge contro la carne coltivata, laddove esso recita che è vietato “promuovere ai suddetti fini alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati”. Ma non siamo (non più) “operatori del settore alimentare” e mai siamo stati “operatori del settore dei mangimi”. Quindi per questa volta scamperemo alle pesanti sanzioni previste. In attesa dei bravacci che tra qualche tempo ci aspetteranno sotto casa.
Studio Arclab augura a tutte e a tutti (ai carnivori, ai francesi che mangiano lumache, agli inglesi che non mangiano cavallo, ai vegetariani, ai vegani, a chi fa la pizza con l’ananas e chi spezza gli spaghetti e li condisce col ketchup, a chi è tollerante con tutti meno che con gli intolleranti) un 2024 illuminato, in cui non si venga giudicati per come si mangia, semmai si venga valutati per come si parla e per cosa e come si dice e si scrive.
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