(a cura del dott. Leonardo de Ruvo, dottore in tecnologie alimentari, collaboratore dello Studio Arclab)
LA BUCCIA DELLE PATATE E LA SOLANINA
Qualche giorno fa è capitato di leggere un post in cui un cuoco proponeva una ricetta a base di bucce di patate cotte al forno.
Sembrava un post innocuo e uno spunto culinario interessante, invece nei commenti si è letteralmente scatenato l’inferno:
“Le bucce contengono solanina, una sostanza pericolosissima”
“Le bucce non si mangiano, sono velenose”
“PERCHÉ NESSUNO PENSA AI BAMBINII!”
E via così all’infinito.
La storia delle bucce delle patate come alimento pericolosissimo, se non mortale per l’uomo, è una di quelle storie che miscela un po’ di verità (ma poco poco) ad una dose abbondante di narrativa fantastica.
O meglio ancora post-apocalittica.
Perché oggettivamente la questione della solanina e di altri glicoalcaloidi presenti nella parte edibile di Solanum tuberosum (la patata, insomma) è una punta (‘na punta proprio) più gonfiata rispetto alla realtà.
Anche a fronte della valutazione dei rischi per la salute pubblica condotta dall’EFSA nel 2020 (1), di cui parleremo.
Occorre però partire dall’inizio e spiegare cosa sono esattamente questi glicoalcaloidi (in questo post chiamati anche GA) che possono essere presenti nella patata (come in altri prodotti di origine vegetale, vedi pomodori) e per quale motivo sono presenti.
LA SOLANINA E ALTRI GLICOALCALOIDI
Sarà il nome, sarà perché ti fa venire voglia di estate, ma la solanina è sicuramente l’alcaloide più noto associato al consumo di patata, però ci sono anche altre sostanze che appartengono allo stesso gruppo con nomi altrettanto peculiari, come la CACONINA (o chaconine, in inglese così come anche nel testo del report EFSA, 1).
Premettendo che capiamo la discriminazione nei confronti della caconina, questi GA sono tra i più noti per il loro effetto tossico nei confronti degli animali e dell’uomo.
La loro presenza nella parte edibile della patata è correlata alla difesa della pianta nei confronti di parassiti e altri organismi patogeni e per tale ragione la loro concentrazione, come quella di altri glicoalcaloidi, varia a seconda della parte o struttura della pianta presa in considerazione e sua esposizione ai parassiti e patogeni (2), ad esempio per:
– i fiori le concentrazioni di GA vanno dai 2150 ai 5000 mg/kg peso fresco (fw),
– le foglie tra 230 ai 1000 mg/kg fw
– il tubero, preso come intero, ha una concentrazione tra i 10 e 150 mg/kg, che è il valore medio ottenuto dai valori rilevati di 150 fino a 640 mg/kg fw per la parte più esterna (con un livello nella buccia tra 300 e 640 mg/kg fw) e quelli ottenuti per le parti più interne, tra 0 e 100 mg/kg fw (compresa la polpa).
Il contenuto di questi GA nell’alimento può essere influenzato da alcuni fattori come (1):
1) la varietà di patata coltivata,
2) le modalità di stoccaggio (es. per alcune cultivar, sia chiaro per alcune cultivar e non per tutte, è stato rilevato che il contenuto tende ad aumentare quando lo stoccaggio avviene a temperature prossime a 4°C rispetto a 10°C*, 3),
3) l’esposizione alla luce, dato che è ben noto che la solanina tende ad aumentare in ragione della sintesi della clorofilla, e il livello di questo alcaloide è strettamente correlato all’inverdimento della patata.
Il tasso di formazione di solanina che si ha quando la patata viene conservata al buio è circa il 20% rispetto a quello di un tubero conservato tenendolo esposto alla luce.
I livelli normalmente rilevati di solanina e caconina nelle patate è compreso tra 20 e 100 mg/kg, anche se livelli più elevati possono essere ritrovati a causa di danni meccanici, germogliamento, inverdimento, fitopatologie, inadeguato stoccaggio (1).
*lo stoccaggio delle patate in frigorifero favorisce anche la formazione di alcuni zuccheri riducenti che incrementano il contenuto di acrilammide nel prodotto finito quando friggiamo oppure ci cimentiamo nella cottura al forno (tale accorgimento è anche ribadito all’allegato II parte A del Reg. UE 2158/2017 sul tenore di acrilammide negli alimenti, in cui è richiesto agli OSA di conservare le patate a temperature superiori a 6°C).
I RISCHI PER IL CONSUMATORE
Diciamolo francamente: i rischi per il consumatore sono decisamente più ridimensionati rispetto al sentir comune, al dramma, alla tragedia di cui si sente parlare.
L’aspetto interessante della questione è che la presenza di concentrazioni elevate di GA è spesso rilevabile a livello organolettico/sensoriale (1, 4) (diversamente da altri contaminanti chimici micotossine, fitofarmaci, etc.)
Ad esempio, concentrazioni elevate di GA (superiori a 100 mg/kg di prodotto) comportano variazioni distinguibili nel sapore, che è decisamente più amaro, con sensazione di bruciore alla lingua e una irritazione nella parte più interna della bocca (1).
Come anche detto in precedenza, livelli elevati di GA sono associati all’inverdimento (da tenere in conto anche il germogliamento) del tubero, fattore che può essere facilmente verificato tramite ispezione visiva del prodotto.
Alcuni trattamenti termici come frittura, la cottura in forno, come anche la bollitura, possono determinare una diminuzione del contenuto tra il 5 e il 65% (1).
Tutta questa pappardella permette quindi di comprendere che una conservazione adeguata, lontano dalla luce, unitamente ad una cernita delle patate che si presentano danneggiate, malate, germogliate o soggette ad inverdimento, consente di norma di consumare un prodotto con dei livelli di GA abbastanza contenuti.
Qualche info però sulle dosi e sulle intossicazioni ve la forniamo comunque.
L’EFSA (1), sulla base delle informazioni e delle stime fornite da JECFA (4), ha riportato che l’effetto tossico dei GA nei confronti dell’uomo è stato rilevato a dosi superiori ad 1 mg/kg di peso corporeo (bw), come esposizione acuta (ovvero correlata al singolo evento).
Superata quell’assunzione, gli effetti tossici possono comprendere mal di testa, vomito, diarrea, dolore addominale e stanchezza.
1 mg/kg bw può quindi comportare generalmente un effetto tossico non severo, con una sintomatologia che spesso può presentarsi come attenuata.
Gli effetti potenzialmente letali sono associati a dosi decisamente più elevate, che state stimate tra 3 e 6 mg/kg bw (4), anche se su queste concentrazioni esiste una certa incertezza (1), a fronte dei dati raccolti nel tempo sulle intossicazioni da GA, in particolare sulla solanina.
Casi che sono proprio dell’altro ieri, come no.
Ne citiamo giusto qualcuno:
1) Siamo nel 1898 in Germania, fa freddo (fa sempre freddo in Germania) e alcuni soldati si stanno rifocillando con un pasto a base di patate non proprio ben conservate.
Risultato: 56 soldati sono rimasti intossicati, con sintomi come diarrea (ahhh la caconina), nausea, dolore addominale.
Le analisi condotte (attenzione, che siamo nel 1898) hanno rilevato un tenore di alcaloidi “solanina-type” di tra 240 mg/kg e 380 mg/kg di patata (5), considerando un pasto che ha comportato un’assunzione pari a 300 mg di GA, con una dose di 3,4-5,1 mg/kg bw (4) (siamo bel lontani dal 1 mg/kg bw di cui sopra).
2) È il 1917, anno di svolta durante la Prima Guerra Mondiale, nel mentre a Glascow 61 persone si ritrovano intossicate mostrando la tipica sintomatologia dell’avvelenamento da solanina, immediatamente o dopo circa 3 ore (6). I sintomi sono diarrea, vomito, mal di testa, stanchezza, ad eccezione di un bambino di cinque anni che purtroppo perde la vita.
Le analisi condotte sulle patate rilevano un quantitativo di 410 mg di solanina/kg di prodotto, con una dose stimata (valutata per il bambino di 5 anni, assumendo un peso pari a 18 kg e un consumo di 200 g di patate) pari a 4,5 mg/kg bw.
410 mg solanina/kg di alimento è una concentrazione parecchio elevata di GA, a testimonianza di un prodotto mal conservato (siamo comunque nel 1917, in piena guerra).
Siamo ben distanti, come si può ben notare, dai livelli normalmente rilevati dall’EFSA compresi tra i 20 e 100 mg/kg (1).
Per quanto riguarda gli adulti, i cui sintomi sono stati riportati come non gravi, la dose assunta è stata stimata come pari a 3,4 mg solanina/kg bw, ipotizzando un pasto pari a 500 g e un peso corporeo di circa 60 kg (4).
3) Ultimo caso che citiamo, fresco fresco:
2015, siamo di nuovo in Germania (qualcuno qui ci da sotto con i tuberi), e una famiglia di Wurttemberg o come se chiama ha qualche problema con il vomito e il mal di stomaco dopo aver consumato un piatto a base di patate non sbucciate.
I sintomi si sono risolti in poco tempo, non è stato necessario il ricovero (7).
La cosa interessante è che il piatto non viene interamente consumato poiché questa famiglia nota un sapore amaro abbastanza estraneo.
Le analisi condotte testimoniano un livello pari a 236 mg GA/kg di prodotto, nessuna informazione però si ha sulla dose assunta e sulla quantità di patate consumate (7).
Tutto questo permette di capire come il consumo della buccia delle patate, seppur può presentare concentrazioni di GA maggiori rispetto alla polpa, rappresenta un rischio ben più dimensionato rispetto a quanto si sente in giro.
E che è possibile continuare a consumare le patate e la loro buccia a patto di fare attenzione alle basilari norme igienico-sanitarie, un’attenta conservazione e prestare attenzione al sapore e all’ispezione visiva.
Naturalmente questo è essenziale anche quando le consumiamo sbucciate, sia chiaro.
Che non è che siccome le mangiate senza buccia allora vi mettete a cazzeggiare.
BIBLIOGRAFIA:
(1) Risk assessment of glycoalkaloids in feed and food, in particular in potatoes and potato-derived products; EFSA report 7 luglio 2020.
(2) Milner SE, Brunton NP, Jones PW, O’Brien NM, Collins SG and Maguire AR, 2011. Bioactivities of glycoalkaloids and their aglycones from Solanum species. Journal of Agricultural and Food Chemistry, 59, 3454–3484.
(3) Cieslik E and Praznik W, 1998. Changes of glycoalkaloid content in potato tubers of selected varieties during vegetation and storage. Polish Journal of Food and Nutrition Sciences, 7, 417–422.
(4) JECFA (Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives), 1993. Toxicological evaluation of certain food additives and naturally occurring toxicants. WHO Food Additives Series, Vol. 30. World Health Organization, Geneva.
(5) Pfuhl E, 1899. Regarding an outbreak of illness due to poisoning by solanine in potatoes. Deutsche Medizinische Wochenschrift, 25, 753–754.
(6) Harris FW and Cockburn T, 1918. Alleged poisoning by potatoes. Analyst, 43, 133–137.
(7) BfR (Bundesinstitut fu}r Risikobewertung), 2018a. BfR Opinion No 010/2018 of 23 April 2018. Table potatoes should contain low levels of glycoalkaloids (solanine) (Abstract in English).
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